A riprova della efficacia di questo approccio, numerosi studi neuroscientifici sulle funzionalità cerebrali (FMRI) hanno dimostrato che chi conduce una pratica regolare di attenzione focalizzata, migliora il controllo dell’ansia, la gestione dello stress e in generale la reazione a stati emotivi pressanti. Pur non potendo definirsi a pieno titolo una pratica meditativa, la mindfulness mutua i suoi principi da tecniche contemplative orientali e lo stesso termine mindfulness è la traduzione inglese della parola sati che in lingua pali significa riportare alla memoria (ricordare).
La mindfulness si inserisce come supporto all’interno di qualsiasi organizzazione poiché è funzionale, tra l’altro, allo sviluppo di due fondamentali soft skills: attenzione e flessibilità.
Attenzione e focalizzazione come valori a se stanti in grado di ottimizzare tempi e risorse, dando qualità alla propria attività ma attenzione intesa anche come spazio per un’introspezione accurata che rafforza la propria intelligenza emotiva e apre a maggiore flessibilità.
Di fatto, attorno a queste esigenze ruota anche la formazione classica aziendale che deve far fronte al tema delle relazioni, della resilienza, della leadership e quindi implementa programmi per gestire al meglio un team, per rendere la comunicazione efficace, per sapere motivare, per gestire lo stress, per coltivare intelligenza emotiva ecc ecc. Queste ed altre competenze passano sempre attraverso lo sviluppo della consapevolezza, dell’attenzione agli altri, dell’ascolto, dell’empatia, della lucidità, della visione interdipendente delle cose e quindi della migliore conoscenza di noi stessi e di ciò che ci circonda.
Affinare la capacità di essere presenti, consapevoli e flessibili ci permette di conoscere meglio la nostra realtà interiore, la natura delle nostre emozioni, i meccanismi che ci portano a reagire più che ad agire. L’ampliamento delle nostre prospettive permette di affrontare le tensioni e le difficoltà allargando lo spazio mentale, mantenendo lucidità, senza essere sopraffatti da emozioni ingombranti. Nel contesto di una società che impone quotidiani cambiamenti, vi è il bisogno di rimuovere agilmente false rappresentazioni che generano paure immotivate, mancanza di fiducia in se stessi, stress, stanchezza, demotivazione, visioni poco flessibili, alla radice delle quali vi è spesso una immagine statica e distorta della realtà.
La mindfulness può aiutarci a interrompere queste fissazioni in modo gentile, offrendoci degli strumenti per tornare a quel rilassamento e apertura che ci appartiene. Il diffondersi di pratiche attentive discende anche da una necessità imposta da un mercato fluido che in pochi anni ha inghiottito modelli organizzativi fondati su leadership autoritarie, ambienti di lavoro omogenei, sicurezza e stabilità lavorativa. Non solo: è indubbio che l’era tecnologica induca a maggiore distrazione e con essa un impoverimento della qualità delle relazioni. Cellulari, smartphone, tablet ci distolgono spesso da un’attenzione consapevole a ciò che sorge di istante in istante, educandoci a una crescente disattenzione e indebolendo facoltà cognitive fondamentali come ad esempio la memoria.
Appare inoltre evidente come il confine fra il tempo dedicato al lavoro e alla propria vita stia progressivamente sfumando. Le nuove tecnologie ci portano ad avere l’ufficio sempre in tasca. Si è sempre in servizio. Ovviamente i mercati non possono risolvere questa situazione ma è possibile, comprendendo al meglio il problema e adottando i giusti antidoti, gestire il rapporto con il digitale in modo tale da accrescere il benessere personale e ottimizzare le nostre abilità professionali. E' la dose che fa il veleno.